Return to marzo 2010 – Programma

Programma partecipato

LINIK » versione stampabile (aggiornata al 23 marzo)

NOTA – Questa pagina è il frutto della collaborazione tra diverse persone: ogni contributo che vada oltre lo slogan e approfondisca questi aspetti o altri che siano coerenti con la linea politica di SEL è più che ben accetto. I punti più controversi saranno comunque resi pubblici e discussi.

Si è deciso di “socializzare” e rendere pubblici i lavori di costruzione del programma che caratterizza in modo specifico la mia candidatura per favorire la partecipazione di chiunque (tramite commento e contatto diretto via mail o facebook). L’impegno è quello di condividere il risultato di questo lavoro con tutti i candidati SEL, in modo che chiunque tra i candidati venga eletto, possa considerare tematiche simili come punto di partenza. Ovviamente, ogni candidato ha le sue ‘specificità’ e competenze, ma la partecipazione e il metodo della costruzione condivisa nella mia esperienza sono sempre stati ben visti in SEL.

Ovviamente, non si tratta di una costruzione totalmente “libera”: i principi cardine sono quelli espressi dai programmi regionale e nazionale (vedi i programmi relativi in questo stesso sito) e la direzione è quella della sostenibilità ambientale, economica e sociale. Il testo del programma nazionale spiega in modo abbastanza chiaro cosa si intenda con queste parole: richiede qualche minuto per la lettura, ma è tempo ben speso.

In ordine sparso, i punti chiave individuati durante questa campagna elettorale:

1) lavoro: [rielaborazione e approfondimento del testo di programmazione nazionale SEL]

È necessario destinare risorse congrue per un piano di piena occupazione basato anche su  forti commesse statali (investire su energie alternative-basso consumo di energia-prevenzione ambientale-manutenzione del territorio-ricerca-sistemi di istruzione e formazione-servizi sociali). Bisogna estendere gli ammortizzatori sociali a tutte le tipologie di lavoro e indipendentemente dal numero di occupati in azienda.

Si deve usare la cassa integrazione per riconvertire le produzioni e difendere gli insediamenti produttivi.

È inoltre auspicabile garantire una gestione adeguata delle Politiche attive intervenute in questa regione a seguito di una recente normativa sulla Cassa integrazione. Le attuali forme di Politiche attive utilizzate, consistenti essenzialmente in varie tipologie di orientamento e formazione per cassa integrati e lavoratori in mobilità, trovano spesso applicazione impropria e farraginosa. Di sicuro, dovrebbero essere meglio gestite e in ogni caso implementate.
Bisogna fermare la spirale di licenziamenti, chiarendo che i finanziamenti statali e comunitari possono essere erogati alle aziende solo a condizione che queste non vengano poi delocalizzate e perseguano una politica di mantenimento dell’occupazione. Bisogna preservare i siti produttivi esistenti, incentivando le riconversioni nella direzione del risparmio energetico e della diminuzione dell’impatto ambientale.
Si deve sostenere il reddito dei disoccupati attraverso l’aumento e il prolungamento dell’indennità di disoccupazione, l’offerta di servizi pubblici gratuiti, l’istituzione di forme di salario sociale.

Contro la precarietà, bisogna incentivare delle iniziative per ridurre la discrezionalità del datore di lavoro nella scelta della tipologia di contratto da applicare. L’ampia discrezionalità dei datori di lavoro, talvolta dettata dall’ignoranza nei confronti della normativa e al contempo favorita da un mancato sistema di controllo, ha contribuito ad aggravare la situazione di instabilità in cui versano oggi gran parte dei lavoratori italiani.

È lo Stato che dovrebbe incaricarsi di fornire gli adeguati strumenti formativi ai datori di lavoro, vista la centralità che le recenti normative sull’occupazione hanno acquisito nel mercato del lavoro e in conseguenza dell’incidenza che rivestono nel determinare le sorti lavorative e di vita dei singoli. La formazione e la corretta applicazione dei contratti dovrebbero essere poi costantemente monitorate e implementate da Organi e Servizi preposti, prodotti ad hoc dallo Stato, quali delle Commissioni.

Una situazione analoga dovrebbe ingenerarsi in merito alla sicurezza. Il testo più importante di riferimento in materia di salute e sicurezza, il Decreto Legislativo 81/2008, è di scarsa fruizione e nel contempo di natura essenzialmente teorica. In questo caso, pur essendo previste formazione e addestramento ad ampio spettro per i lavoratori tutti, un servizio di gestione delle problematiche inerenti la sicurezza e la creazione di figure atte a garantire prevenzione e protezione, i costi onerosi delle diverse incombenze ricadono sul datore di lavoro; e quest’ultimo, sovente fornisce una formazione deficitaria, quando non mancante. A questo stato di cose si aggiunge la scarsa cultura per la sicurezza che appartiene ai lavoratori in generale e gli ingenti livelli di produttività richiesti loro. Per sopperire, quantomeno parzialmente, a questa situazione e arginare i notevoli disagi e ripercussioni sui lavoratori, lo Stato dovrebbe garantire formazione, addestramento, sistemi di vigilanza realmente funzionanti, iniziative a vantaggio della creazione e del riconoscimento della cultura della sicurezza e la pubblicizzazione di ognuna di queste occorrenze.

Bisogna contrastare la frammentazione delle imprese operata per aggirare l’applicazione dello Statuto dei lavoratori, ridurre le esternalizzazioni; unificare diritti e tutele derivanti dai diversi tipi di contratto in modo da avvicinare sempre più il costo dei contratti a termine a quello dei contratti a tempo indeterminato e rendere i primi meno vantaggiosi per le imprese.
Il lavoro sommerso e il caporalato sono una piaga sociale da combattere che investe italiani e immigrati. A questi ultimi quando irregolari, si potrebbe per esempio garantire la concessione del permesso di soggiorno qualora decidano di denunciare chi sfrutta il loro lavoro (vedi di seguito nel punto dedicato all’immigrazione). Il lavoro minorile va anch’esso combattuto con politiche di inclusione scolastica (che mirino ad abbattere il fenomeno della dispersione in particolare) e incentivando finanziariamente il proseguire degli studi per le famiglie in difficoltà economica.
Bisogna trovare un modo efficace per ridurre drasticamente il fenomeno delle “dimissioni in bianco”. Procedura questa che consiste nell’obbligare il lavoratore ad apporre una firma su un’ipotetica lettera di dimissioni contestualmente alla firma del contratto e pratica sempre più utilizzata che penalizza i soggetti più deboli e in particolare le donne in gravidanza.
Rilanciare la battaglia per l’aumento dei salari e delle pensioni perché tutti possano “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art.36 della Costituzione).
I salari in Italia sono tra i più bassi d’Europa e l’Italia è l’unico paese europeo in cui la pressione fiscale sul lavoro è superiore alla pressione fiscale generale.
Risorse necessarie a finanziare gli interventi qui elencati:
a) Tassare le rendite e le transazioni finanziarie per ridurre la pressione fiscale sui salari e sulle pensioni.
b) Introdurre una tassa sui grandi patrimoni come avviene in altri paesi.
c) Combattere l’evasione fiscale (in Italia viene nascosto al fisco il 17-18% del PIL reale e si perdono circa 110 mld di euro di imposte l’anno).
d) Cambiare le priorità di spesa pubblica (no al nucleare, sì agli investimenti per le energie rinnovabili; no al ponte di Messina, sì agli investimenti per la manutenzione del territorio; no ai sostegni alle imprese senza vincoli per l’occupazione e la sostenibilità ambientale).

Le Regioni possono e debbono essere parte ancor più attiva nelle politiche atte a creare e mantenere occupazione, utilizzando al meglio le risorse Europee e lo strumento degli accordi di programma.

2) energia: il problema energetico si riassume nell’aumento costante di consumi e nell’impatto ambientale delle tecnologie oggi più utilizzate per la produzione di energia elettrica (che rappresentano da sole intorno al 40% della produzione di CO2 di un paese industrializzato). Ci sono due modi per fronteggiare questo fenomeno: rendere il sistema più efficiente, abbattendo i consumi anche a parità di servizio e fare un salto di qualità nella produzione di energia elettrica riducendone l’impatto ambientale.

Sul primo piano, ci sono diverse tecnologie oggi note che consentono la costanza del servizio richiesto, ma richiedono quantità di energia notevolmente inferiori: ormai tutti parlano di illuminazione a LED (che consentono di risparmiare dal 50% al 90% dell’energia impiegata a parità di emissione luminosa), ma è il caso di sottolineare che questa è una tecnologia che risale a circa 40 anni fa. La domanda che dobbiamo porci è perché non sia stata ancora utilizzata in modo massiccio.
Nel settore del risparmio energetico, la vera novità è oggi offerta dal concetto di smart grid, che prevede un ripensamento dell’intera rete di distribuzione energetica, passando da una rete costruita intorno a pochi nodi estremamente potenti ed un controllo centralizzato ad un sistema distribuito, che riduca la dispersione di energia elettrica lungo i tracciati e permetta una pianificazione energetica capillare (quindi con comunicazione a doppia via tra fornitori e utenti), quindi notevolmente più efficiente.

Ecco un breve filmato esplicativo [filmato in Inglese]:

L’opposizione all’uso del nucleare potrebbe essere compiuta anche solo su una base ideologica, ma è giusto ricordare anche che questa scelta da parte dell’attuale governo nei fatti non conviene né da un punto di vista economico, né dal punto di vista sociale oltre che ovviamente dal punto di vista ambientale. Cosa forse più grave per chi spaccia questa come una soluzione ai problemi odierni di fabbisogno energetico, il nucleare civile non permette una risposta rapida, ma inizia la sua resa in circa 10 anni. Tanto più questa scelta appare insensata, se si pensa di basarla su una tecnologia vecchia di 60 anni: quella della fissione dell’uranio. Che ci sia qualcosa che non quadra in questa decisione diventa chiaro nel momento in cui ci si chiede perché, se proprio si intende puntare sul nucleare, sia stata esclusa la possibilità di utilizzare centrali a torio.
Il sospetto è che questa scelta sia stata motivata anche dalla possibilità di utilizzare l’uranio impoverito, sottoprodotto delle centrali a fissione dell’Uranio,  utilizzato nella moderna industria bellica.
E’ ovvio quindi che la risposta debba puntare su tecnologie nuove, a basso impatto ambientale e che consentano comunque un approvvigionamento di energia elettrica sufficiente. Questo è il motivo per cui la scelta obbligata cade in Italia sulle centrali ad energia solare (soprattutto nelle nuove versioni delle centrali a solare termodinamico)  che devono diventare uno dei mezzi principali di produzione energetica sul territorio nazionale, sfruttando anche i progetti su scala europea che potrebbero coinvolgere il Lazio con i loro investimenti (il più importante di questi progetti è chiamato DESERTEC).
Ma non bisogna fermarsi alle tecnologie esistenti: è necessario uno sforzo reale di finanziamento nella ricerca di nuove tecnologie in questo settore, puntando nei prossimi anni a sviluppare o migliorare tutti i sistemi basati su energie rinnovabili come l’eolica, la geotermica, l’idroelettrica (anche nelle sue varianti marine) o la stessa energia solare e puntando in modo deciso all’abbandono dei sistemi di produzione basati su combustibili fossili, inquinanti, socialmente pericolosi (basta guardare cosa provocano le estrazioni nel delta del Niger) e completamente assenti dal territorio nazionale (a differenza ovviamente delle energie rinnovabili).

Il problema così come è stato qui brevemente riassunto è  stato affrontato di recente anche da Rubbia (Nobel per la Fisica): [filmato in Italiano]

3) rifiuti: si tratta di uno dei capitoli di spesa maggiori per le regioni,  ma soprattutto è un tema le cui scelte politiche  presentano ricadute anche a lunghissimo termine (come nel caso del trattamento dei rifiuti speciali) sul territorio e  di riflesso sulla salute pubblica. Gli obiettivi da perseguire sono: la conversione  definitiva dei prodotti d’uso comune verso il riciclabile (ci sono ancora moltissimi prodotti che sono senza ragione fabbricati utilizzando componenti non ricilabili) e il biodegradabile (un esempio su tutti: le buste della spesa, che possono esser tranquillamente, prodotte in plastica biodegradabile), abbattimento degli imballaggi e politiche di sensibilizzazione alla diminuzione della produzione di rifiuti (riuso, diminuzione degli sprechi ecc.). I metodi attualmente utilizzati per garantire il riclagggio vanno potenziati, ma sono fondamentalmente ancora inefficaci: è necessario proporre uno studio che garantisca un sistema efficiente di smistamento “a valle”, dopo la raccolta. E’ plausibile in questo senso che possano venirci incontro le recenti innovazioni tecnologiche nel campo del riconoscimento visivo basato su intelligenza artificiale.

4) immigrazione: diritto di voto amministrativo legato a contratto di residenza o di lavoro, chiusura dei CIE, potenziare il valore di integrazione già presente nella scuola, permesso di soggiorno agli immigrati clandestini che denuncino situazioni di sfruttamento o di lavoro nero, lotta al lavoro nero nelle campagne tramite la rintracciabilità dei prodotti agricoli.

5) lotta alle discriminazioni di genere e di orientamento sessuale (vedi link “testimoni di civiltà” tra le campagne a cui si è già aderito).

6) software libero: incoraggiare le amministrazioni ed i servizi pubblici a sviluppare ed utilizzare prioritariamente Software Libero e standard aperti. Supportare politiche attive a favore del Software Libero, difendendo anche i diritti degli autori e degli utenti di Software Libero, in particolare richiedendo la modifica di ogni norma che indebolisce tali diritti, ed opponendomi ad ogni iniziativa legislativa che avrebbe questo effetto (vedi la campagna per il software libero a cui si è già aderito).

7) urbanistica: testo in elaborazione [il testo non è stato completato in tempo… peccato! Proveremo a lavorarci comunque nel dopo elezioni, condividendo il lavoro come sempre].

8 ) sanità: [rielaborazione e approfondimento del testo di programmazione nazionale SEL]

La sanità è il tema dominante nelle politiche di competenza regionale. Le nostre proposte:

– Rompere l’intreccio tra servizio pubblico e mercato sanitario, allargando l’offerta di servizi pubblici, riducendo contestualmente le convenzioni con i privati, e verificando qualità e quantità delle prestazioni  che il pubblico compera dal privato( pianificazione dell’offerta sanitaria).
– Verificare l’appropriatezza della domanda, sapendo che gli erogatori di prestazioni pagati a tariffa hanno interesse ad incrementare i volumi di prestazioni.
– Rendere trasparenti i costi del materiale sanitario e degli apparecchi elettromedicali, le procedure d’appalto ed i risultati delle gare, rendendo obbligatoria la loro pubblicazione sui siti internet delle Asl.
– Rendere trasparenti i concorsi per l’assunzione dei Primari e del personale sanitario, eliminando il potere discrezionale del Direttore Generale.
– Tornare a criteri rigidi di incompatibilità tra lavoro nei presidi pubblici e in quelli privati accreditati o meno.
– Non dimenticare mai che la sanità muove ingenti quantità di denaro e perciò è un mercato appetibile anche per l’economia illegale.

La nostra Costituzione definisce la salute un diritto individuale e collettivo,  percio’ essa va tutelata dalle istituzioni pubbliche. Le nostre proposte e le nostre priorità:

– Destinare risorse e personale per qualificare i servizi sanitari di prevenzione.
– Dare alle ASL mezzi e personale per controllare le condizioni di sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare nei cantieri.
– Coordinare il lavoro dei servizi di igiene pubblica con quello delle Agenzie Regionali per la tutela ambientale per proporre piani di risanamento del territorio e controllare meglio le fonti di inquinamento.
– Valorizzare il ruolo dei Comuni nelle scelte di politica sanitaria.
– Promuovere strumenti di informazione( Carte dei servizi, Uffici del cittadino ecc.) per permettere la partecipazione dei cittadini alle scelte organizzative dei servizi e per stimolare una cultura della salute che richiami la responsabilità di tutti.
– Rendere accessibili a tutti i servizi sanitari (anche agli immigrati clandestini)rendendoli completamente gratuiti( no ai tickets sulle prestazioni diagnostiche) e collocandoli sul territorio in modo che siano facilmente raggiungibili.
– Razionalizzare la rete Ospedaliera  qualificandola con strutture specialistiche che permettano a tutti coloro che ne avessero bisogno di accedere alle tecniche diagnostiche e terapeutiche più avanzate.
– Moltiplicare sul territorio strutture capaci di rispondere alle patologie più diffuse con una rete di servizi capaci di dare risposte diagnostiche e terapeutiche in tempi brevi senza costringere il paziente a peregrinare da un luogo all’altro( Case della salute, ospedali di comunità ecc..).
– Fare in modo che i medici e i pediatri di famiglia, gli specialisti ospedalieri e ambulatoriali siano  attori della gestione dei servizi territoriali e non semplici ordinatori della spesa sanitaria.
– Eliminare la precarietà dei rapporti di lavoro per tutte le professioni sanitarie per garantire la qualificazione e la professionalità degli operatori.
– Estendere la rete dei servizi per le emergenze( PS, 118)
– Estendere e qualificare la rete dei servizi oncologici, dalla prevenzione alla terapia, alla gestione della fase terminale della malattia, con attenzione particolare ai centri contro il dolore che oggi in tutta Italia sono troppo pochi per rendere accessibile a tutti il diritto a non soffrire inutilmente.
– Garantire l’accesso alle tecnologie più avanzate per la procreazione assistita.
– Rispettare la libertà delle donne di interrompere una gravidanza indesiderata senza subire inutili sofferenze e umiliazioni( liberalizzazione dell’uso di Ru 486)

Solo tenendo conto dell’insieme delle proposte qui elencate sarà possibile ridurre le liste d’attesa attraverso un equilibrio tra domanda e offerta. Qualunque altro tentativo è destinato al fallimento perché gli interessi del mercato inducono la crescita della domanda.

Bisogna porsi come obiettivo la internalizzazione dei servizi, ottenendo in questo modo una serie di vantaggi sociali:  risparmio per le casse della regione, miglioramento nella qualità del servizio ed un aumento di stipendio per gli operatori del servizio, grazie alla  eliminazione dell’intermediario privato.

9) Rapporto con le università e gli enti pubblici di ricerca.
[Per realizzare questa bozza, abbiamo utilizzato come punto di partenza il “progetto per l’autoriforma” scaturito dall’assemblea nazionale di studenti e ricercatori dell’Onda del 15-16 novembre 2008 a Roma]

L’indipendenza e l’autonomia della ricerca sono per noi principi fondativi.
La ricerca non deve essere subordinata a logiche di mercato: le risorse e le strutture pubbliche dalle quali essa dipende non possono essere messe al servizio di interessi privati, perché questo asservimento provoca una distorsione degli obiettivi di medio e lungo periodo, con conseguente danno per la società: gli esempi in campo farmacologico e tecnologico sono a decine.

Il sapere è un bene pubblico, una produzione collettiva e per questa ragione non appropriabile: i suoi risultati devono essere socializzati, ossia posti al servizio dell’intera società. Tutte le regioni italiane possono fare riferimento ad una vasta quantità di strutture dedicate alla ricerca nei campi più disparati (dagli studi geofisici, alla chimica, alle analisi sociali, all’impatto ambientale, alla robotica, ai sistemi di intelligenza artificiale, alle neuroscienze ecc.).

È avvilente che questa enorme mole di competenze sia spesso sottoutilizzata, quando potrebbe fornire contributi importanti in tutte le fasi di intervento politico sul territorio (raccolta dati, analisi, piani di intervento, scenari possibili). Il vantaggio per le amministrazioni è evidente, viste le cifre consistenti che solitamente vengono pagate a consulenti di varia natura, spesso privati, mentre si assiste alla contemporanea sofferenza da parte di alcuni di questi enti per la scarsità di finanziamenti.

E’ necessario innescare quindi un circolo virtuoso che porti finanziamenti a università ed enti pubblici della ricerca (EPR), sia sulla base di concreti progetti obiettivo e studi di settore fissati dall’agenda politica, sia all’interno di più ampie linee strategiche per garantire l’indipendenza e l’autonomia degli studi di ricerca. I finanziamenti del primo tipo porteranno vantaggi indispensabili nell’immediato, garantendo la possibilità di una adeguata pianificazione ed una analisi accurata di fenomeni sempre più complessi riguardanti l’ambiente e la società in cui viviamo, garantendo un ritorno in termini di impatto economico o sociale. I finanziamenti del secondo tipo garantiranno delle ricadute più a lungo termine in termini quantitativi, ma nell’immediato in termini di arricchimento culturale.

In questa direzione è possibile collocare l’esigenza di una corretta valutazione dell’operato del mondo della ricerca (università ed enti pubblici), ovvero il metro qualitativo utile ad incentivare gli istituti che più di altri contribuiscono a quel circolo virtuoso qui descritto.
L’attuale combinazione di indici che si presumono quantitativi, legata fondamentalmente al solo contenimento del bilancio è inutile nel tentativo di valutare l’impatto della ricerca sulla società. Più significativi, ma comunque miseri in questo senso, sono anche la produzione di brevetti e il semplice numero delle pubblicazioni, privo di una analisi di merito.
La valutazione deve quindi essere intesa anche come il rendiconto sociale delle attività degli atenei e degli EPR: una valutazione dell’impatto che non può prescindere dai contesti territoriali in cui le università sono inserite e che deve essere compiuta coinvolgendo le componenti attive (quindi docenti, ricercatori e dottorandi) e passive (intese come società civile) nel processo di valutazione.

Gli esiti della valutazione della didattica e della ricerca dovrebbero condizionare la distribuzione di parte dei finanziamenti sia alle strutture (atenei, enti, istituti, dipartimenti,..) che ai singoli docenti e ricercatori.
Come per i contributi statali alle aziende private, bisognerebbe inoltre legare l’incremento di finanziamenti, oltre che alla valutazione qualitativa, anche al rispetto di alcune “best practices” riguardanti il lavoro negli Istituti.

Citiamo di seguito alcuni dei temi che riteniamo più importanti in questo senso:

I) Al lavoro di ricerca, perché di lavoro si tratta, devono corrispondere un salario adeguato e i diritti stabiliti dallo statuto dei lavoratori. La moltitudine di tirocini, stage e praticantati tutti rigorosamente non retribuiti non sono più tollerabili, così come la dilagante attività didattica a titolo gratuito.
Ogni prestazione deve avere luogo all’interno di un contratto al più come forma di lavoro subordinato a tempo determinato e in tal caso deve essere garantita la continuità del reddito, diritto fondamentale che è necessario estendere a tutti i lavoratori precari.
In questa stessa direzione, è necessario sopprimere il ricorso ai dottorati senza borsa: ai dottorandi dovrebbero vedere riconosciuti i loro diritti per mezzo di uno statuto nazionale a loro dedicato.

II) Nella ricerca rimane aperta la stessa questione di genere che troviamo ovunque nel mondo del lavoro: da una parte la progressione di carriera delle donne è fortemente bloccata ai livelli più bassi, dall’altra le donne subiscono il perenne ricatto biologico, aggravato dalla precarietà, per cui la maternità diventa in realtà la via di espulsione dal mondo della ricerca.

III) Per tutti i percorsi pubblici in questo campo, è necessario aprire un dibattito approfondito sulla necessità di garantire nuove procedure concorsuali trasparenti.

IV) I ricercatori precari, essenziali al funzionamento di tutti gli atenei ed enti pubblici di ricerca italiani, sono completamente assenti dagli organi decisionali degli stessi. E’ questo un elemento chiave della gerarchizzazione del lavoro di ricerca e didattica.
Come ogni altra categoria nell’università, i ricercatori precari e i dottorandi devono partecipare ai processi decisionali tramite i loro rappresentanti eletti.

10) Politiche di sostegno degli studenti universitari: l’università è il principale luogo di produzione culturale del territorio e strumento fondamentale per la mobilità sociale, se e solo se riuscisse a garantire l’accesso a tutti senza praticare forme di selezione per censo. Per prima cosa  vanno potenziate le borse universitarie e va resa funzionante la agenzia per gli affitti dell’ADISU (attualmente sottoutilizzata) che può svolgere, se ben adoperata, il ruolo di calmiere degli affitti impazziti romani, soprattutto per gli studenti. Contemporaneamente bisogna favorire l’emersione degli affitti completamente o parzialmente in nero.

11) politiche atte a favorire un corretto trattamento degli animali domestici, in particolare di contrasto al fenomeno dell’abbandono dei cani da compagnia,  puntando sulla educazione del cane (e del padrone).

12) politiche giovanili: applicare al Lazio le iniziative vincenti sperimentate in Puglia con il progetto Bollenti Spiriti.

.

Contatti:

mailto: vincenzo.g.fiore (at) gmail.com

facebook: fan-page

2 comments

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    • Glauco on 17/03/2010 at 14:40
    • Reply

    Vincenzo, se puoi trova il modo di rendere questa pagina printer-friendly. Quando la stampo esce fuori male, si vede solo la prima e l’ultima pagina… fai una prova! Ciaoo
    Gla

    1. Ho inserito un link in testa alla pagina da cui si accede alla versione pdf del programma (sarà aggiornato di conseguenza agli aggiornamenti rilevanti relativi a questa pagina del blog). Grazie della segnalazione!

  1. […] elettorale su Roma in vista delle regionali del Lazio per appoggiare e seguire la candidatura di Vincenzo Guido Fiore. Ho avuto subito un’ottima impressione di Stefano, impressione confermata nel tempo: penso […]

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