Bianco, nero e Verdone

Nel giorno della Festa della Donna mi  pare giusto dedicare una riflessione alle donne immigrate in Italia, in particolare a quelle africane, che ogni giorno devono battersi contro il pregiudizio, di cui sono oggetto ancor più dei loro connazionali uomini (proprio in quanto DONNE e IMMIGRATE).

Nel suo ultimo film, “Io, Loro e Lara”, Verdone ha avuto la felice idea di dire la sua sulla prostituzione delle ragazze africane in Italia, un problema che le affligge tutte: sia quelle che si prostituiscono, sia (e soprattutto) quelle che fanno tutt’altro mestiere e che vengono comunque immaginate prostitute dagli italiani.

E proprio questo preconcetto, ovvero che le donne africane residenti in Italia siano in grande maggioranza prostitute, viene candidamente cavalcato nel film.

A metà pellicola Verdone, missionario in crisi spirituale, incontra a Roma una ragazza africana proveniente dal villaggio in cui lui aveva operato per diversi anni. A casa della ragazza il prete ritrova anche altre due giovani natie dello stesso villaggio. Tutte appaiono allegre e serene, meravigliose nei loro abiti tradizionali. Ad un certo punto le tre donne dicono di dover andare a lavorare e chiedono un passaggio a “padre” Carlo. La meta era un marciapiede di periferia e le ragazze sembrano proprio volerci andare (!), nonostante il prete cerchi di dissuaderle e di tirarle via da lì, con parole più sconcertanti dello stereotipo stesso: “Ragazze, non per fare del facile moralismo [… ] ma se immigrare in un altro Paese significa venire a lavorare su un marciapiede allora era meglio se ve ne restavate a casa vostra, o no? (…già vedo i leghisti annuire e fare proprio l’argomento per mascherare la volontà di rispedire al mittente le donne immigrate – come pure gli uomini –  e non solo africane, sotto le spoglie di una “legittima preoccupazione” per il loro benessere e la loro dignità di persone) […] Io vi ho lasciato nel vostro villaggio che eravate delle ragazze educate, perbene, rispettose delle vostre tradizioni (perché, gli vorrei chiedere, chi si prostituisce è forse una cattiva persona?) e ora vi ritrovo senza ritegno, senza pudore e pure senza mutande! È questo il salto di qualità?”. A questo punto una ragazza risponde: “E chi manda i soldi a casa, li mandi te?” E il prete: “Soldi, soldi, soldi! In Africa da mangiare ce n’era, poco, ma ce n’era. Però eravate libere, invece qui siete schiave! State facendo un lavoro da schiave!”.

Queste parole mi feriscono. Incomincio a pensare, a chiedermi se non sono io ad aver inteso male e poi mi dico che no, non ho inteso male. Purtroppo siamo in pieno stereotipo: è verosimile che delle ragazze costrette a prostituirsi per vivere vadano a battere il marciapiede a cuor leggero, allegre e spensierate quasi fossero delle imprenditrici di se stesse?!? Di certo nessuna delle ragazze che si prostituiscono aveva il marciapiede come obiettivo, ci è stata messa o ci si è trovata per disperazione. L’unica verità che trovo nelle parole di Verdone è che queste ragazze non sono libere. Sono schiave della criminalità organizzata. Ma non solo. Se gli italiani non sono capaci di etichettarle diversamente, non danno loro la chance di essere altro nemmeno in un film, non saranno colpevoli anche loro? Non siamo colpevoli anche noi di costruire con i nostri preconcetti e le nostre etichette i destini di disperazione di queste persone?

Qualche mese fa ho conosciuto una stupenda ragazza africana. Era venuta in Italia per studiare turismo. Viveva dalle suore, a Roma, andava a scuola e lavorava per mantenersi. Faceva gli stessi lavori che fanno gli studenti italiani, la cameriera, la barista…cose così. Ma quando gli uomini romani la vedevano camminare per strada, bella com’è, la apostrofavano in romanesco, chiedendole quanto volesse. Questo di continuo. Ha smesso di mettere il mascara, i tacchi, le gonne, ha smesso di raccogliersi i capelli in treccine, non è servito. È andata via da Roma. Ora vive e lavora nel Nord-Est. In una fabbrica. Ce la fa a stento a mantenersi e ha dovuto lasciare gli studi, ma tiene duro. Persegue il suo sogno. Lei dice che è certa che anche dove vive ora la gente pensa che sia una prostituta, ma almeno non lo dice e a lei va bene così.

Tornando al film, per amor del vero devo dire che ad un certo punto Verdone fa entrare in scena i protettori delle ragazze africane, le quali nel frattempo hanno deciso di ribellarsi e chiedono asilo a Carlo, che le nasconde in casa sua dove si sta svolgendo un pranzo importante, nel corso del quale le ragazze fanno la loro comparsa vestite da cameriere, per giustificare la loro presenza agli ospiti…e anche qui, aridaje! O prostitute o cameriere…è naturale immaginarle così.

L’Italia sarà un Paese migliore quando riuscirà ad aprirsi agli stranieri abbracciandoli nella loro interezza e non stritolandoli in una morsa fatale fatta di preconcetti, pregiudizi, sfruttamento e criminalità.

Dopo i fatti di Rosarno Roberto Saviano ha detto che gli africani sono i nostri anticorpi contro le mafie, che loro si ribellano laddove l’italiano subisce, perché gli africani hanno affrontato la morte per venire nel nostro Paese a vivere una vita migliore e perciò non riescono a sopportare che l’organizzazione criminale di turno gli distrugga il sogno di una vita. L’italiano invece è assuefatto a chinare il capo e fare spallucce di fronte ad un potere illegittimo che gli usurpa tutti i diritti. Sono gli africani che ci sveglieranno, che ci salveranno e a loro Saviano ha detto una cosa bellissima: non lasciateci soli con le mafie, non ve ne andate.

Loro pensavano di aver bisogno di noi, invece è la società italiana che ha bisogno di loro.

I film, le trasmissioni, i TG che continuano ad incasellarli in ruoli stereotipati, rassicuranti per chi teme l’iniezione di linfa nuova nel tessuto sociale, non fanno male solo a loro, ma privano anche noi della possibilità di immaginarli altrimenti e di guardare davvero queste donne e questi uomini e chiederci “chissà che lavoro fa?”, “chissà da dove viene?” (perché anche qui dobbiamo dirlo: No, non sono tutti senegalesi! No, non sono tutte nigeriane!).

Qui, dove vivo, ho sentito delle persone parlare degli “extracomunitari” (termine di per sé già odioso) chiamandoli “gli extra”. La prima volta che l’ho sentito non ho capito…”gli extra”…terrestri? Evidentemente no, mi sono detta. Poi ho collegato e ora quando sento questo termine, forse per una strategia di autodifesa o forse per deformazione professionale, nella mia testa la parola prende un accento tonico sulla “a”, alla francese. Perché in francese “extra” [extrà] è l’abbreviazione di “extraordinaire”, ovvero “straordinario”. “Il/Elle est extra”, “C’est extra” dicono Oltralpe. Ed è quello che penso io delle persone che vengono in Italia per cercare una vita migliore per sé ed i propri cari (a volte per intere comunità), che siano straordinarie.

Per questo meritano che gli si dedichi qualcosa di diverso da un pensiero preconcetto.

2 comments

  1. In merito a questo discorso, io tendo sempre a far notare due cose:
    1) la prostituzione è straniera (per la maggior parte) nelle vittime, ma solitamente non nei carnefici e sicuramente non in chi ne approfitta: i sedicenti “clienti” e gli sfruttatori (sicuramente quelli in cima alla scala criminale) sono Italiani.
    2) il sesso con una persona che si prostiuisce perché costretta (in modo violento o per combattere la miseria, la fame o perché priva di alternative) è uno STUPRO. Cosa che andrebbe ricordata a tutti quei razzisti che ogni volta che si sente parlare di stupro pensano ai rumeni.

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