E allora?

[important]NB questo  articolo è una risposta che segue l’incontro del 25 luglio tra SEL-Saperi e Ferrara/Fratoianni, qui trovate un riassunto per avere un quadro.[/important]

La prima opzione è tirare una linea e procedere oltre: il lavoro da fare certo non manca e chi lo propone ha ottime delle ragioni.

Nonostante queste, non penso sia un buona idea, principalmente perché porta a replicare l’azione attuale all’infinito, ovvero gestione delle emergenze e impossibilità di affrontare problemi di sistema, destrutturazione della rappresentanza in favore di rapporti personali diretti, slittamento della funzione degli organi di un partito in un comitato elettorale. Lo dico in modo provocatoriamente personalistico: questa via può essere utile per fare da argine mentre si costruisce altro, ma presa da sola non mi tira fuori né dall’emigrazione né dalla precarietà.

 

Allora?

1) Questione rappresentanza e responsabilità.

Assumersi la responsabilità senza affermare delle conseguenze porta tecnicamente all’arbitrio: non sto cercando la fantozziana crocifissione in sala mensa, ma, in visione del congresso, dal dipartimento potrebbe (dovrebbe?) arrivare una chiara proposta in merito ai metodi delle selezioni future. Tanto più per coerenza, visto che ci siamo occupati a lungo di valutazione nell’università ed EPR e tutti noi sappiamo che una valutazione senza nessuna conseguenza è una mera perdita di tempo.

Vista l’esperienza negativa, sarebbe sensato chiedere l’applicazione di un banale vincolo: chi seleziona non deve coincidere con la platea dei selezionabili. Sembra infatti che la tentazione di considerarsi assolutamente indispensabili sia troppo forte.

In secondo luogo, chi ha organizzato la selezione fin qui non è il caso che continui a svolgere questo compito: va bene attrezzarsi per portare supporto nel lavoro parlamentare, ma la fallimentare divisione correntizia (o meglio personalistica) a difesa di pezzettini di ceto politico… su questo abbiamo dato anche troppo spazio. Basta.

Possiamo agire insieme come dipartimento per porre questi due vincoli prima in coordinamento nazionale, poi in congresso?

 

2) Questione politica: a che serve il dipartimento?

La visione di Fratoianni è chiara: c’è uno stato di cose difficilmente aggirabile, costruiamo un sistema per arginare il disastro. Ci sono emendamenti su cui si gioca la vita di migliaia di persone (docenti, ricercatori, studenti ecc.), quindi questo lavoro è sacrosanto.

Però gli ultimi decenni ci insegnano che se questo è l’unico lavoro portato avanti da un partito, non si esce dall’emergenza e nel frattempo la situazione peggiora, distruggendo ogni argine. Dovremmo quindi puntare a fare anche altro:

  • organizzare il mondo del lavoro a cui ci riferiamo, attualmente soggetto -nell’università- a ulteriormente frammentazione (non penso sia un caso),
  • costruire interlocuzione,
  • avere un progetto complessivo condiviso sin dalla formazione con chi poi dovrà viverlo,
  • coalizzare il partito con le forze fuori esterne in grado di proteggere questo progetto e di spingerlo.

In pratica, quello che stavamo già facendo, meglio di come lo si stava facendo (di errori organizzativi e materiali col senno di poi ce ne sono stati). Processo lento, ma permette di costruire una forza di trasformazione invece che di semplice contenimento.

Il problema è che, rispetto a un anno fa, ci siamo bruciati almeno in parte reputazione e credibilità, abbiamo perso per strada energie e persone preziose, non abbiamo più il “gancio” del lavoro che sarebbe stato speso in chiave di governo, il partito si mostra spesso marginale e la visione a lungo termine su cui stavamo lavorando è stata screditata dalle scelte dei nostri dirigenti, in favore di deputati -almeno fin qui- poco motivati a lavorarci.

L’interruzione non danneggia tanto l’elaborazione, che si può riprendere senza troppe difficoltà, quanto il percorso di costruzione di una coalizione di associazioni con cui speravamo di costruire una forza che promuovesse le idee costruite insieme. Quello che oggi si chiede un militante qualsiasi di una associazione -poniamo- studentesca o di ricercatori è: “perché dovrei perdere tempo con voi, quando non avete possibilità di ottenere risultati e non ho interesse a diventare parte del vostro comitato elettorale? Meglio spendere le poche energie che ho a difendere il mio lavoro/opportunità di borsa di studio qui e ora, nel mio ateneo, con azioni concrete.” Non si tratta di una speculazione teorica: domande molto simili a queste sono effettivamente state poste apertamente… e comincio a pormele anch’io.

Da qui la spirale: partito che si occupa di questioni interne correntizie –> scarso interesse nel partito da parte del mondo del lavoro –> marginalità politica e ridotta capacità di agire –> riduzione degli spazi di rappresentanza —> dirigenti ancora più avvitati a discutere solo questioni politiciste ecc. ecc. cerchio chiuso, tutti a casa.

SEL può riprendere oggi questa operazione? Perché dall’esterno dovrebbero fidarsi di un partito in cui metà del gruppo dirigente aveva (e probabilmente ha ancora) come obiettivo la fusione con il PD? A quel punto tanto vale prendere contatti con il PD stesso: sarà composto da affaristi e neo-democristiani, ma almeno si va a trattare con chi conta qualcosa.

 

In conclusione, io spero che qualcuno di voi abbia una idea su cosa fare per imporre questo cambio di direzione al gruppo dirigente. Presumibilmente anche per cambiare il gruppo dirigente.

Ci saranno le primarie per il segretario? Ove ci fossero basterebbero per provare a voltare pagina?

Il congresso di quest’anno se non si interviene con forza sarà una replica del congresso di due anni fa. Un pessimo spettacolo di accordi al ribasso. In più oggi ci sono molte energie “fresche” in meno, visto il costante abbandono/espulsione dei non allineati sia sul territorio che in contesti come quello del nostro dipartimento.

Per questo via skype ho detto in conclusione che ci vuole una “minaccia” nei confronti di chi ha potere decisionale. Il termine è improprio, meglio parlare di forze contrapposte o di azione di lobbying (se vogliamo dirlo all’americana), ma il punto è che non puoi chiedere a chi ha un potere (per quanto residuale) di farsi da parte per suo buon cuore.

SEL nasce per dare libertà di azione e di pensiero a sinistra e si è trasformata a livello di metodi e strutture in uno specchio di quell’italia che voleva trasformare. Spero che qualcuno abbia idea di come uscirne, perché al momento la tentazione di azzerare tutto e ripartire con qualcosa di nuovo che ancora non c’è è tanta: le probabilità di fallimento sarebbero il 99% e potrebbero comunque essere maggiori. Stiamo cercando di fare politica: dobbiamo farne un ragionamento non emotivo e poco retorico e cercare i mezzi più efficaci per ottenere un cambio drastico di agenda e obiettivi su scala nazionale.

minaccia

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