Lexit: quando le migliori intenzioni rischiano di balcanizzare l’Europa

Sarebbe sufficiente guardare a cosa sta succedendo in UK o in Europa, per rendersi conto che il modello proposto da chi ha supportato la Lexit (Left+Exit: uscita a “sinistra” dall’Unione Europea o dalla moneta unica, a seconda di chi usi il termine) in UK è qualsiasi cosa tranne che predittivo. In UK i crimini d’odio (contro migranti e non solo) sono quintuplicati nella prima settimana post voto, Farage e l’UKIP sono passati da una progressiva marginalizzazione (un deputato eletto in parlamento) a diventare protagonisti della scena politica, i Tories vedono al momento un forte conflitto tra correnti interne in cui la destra più conservatrice e liberista sta prendendo il sopravvento e persino nel Labour è in atto un tentativo chiaramente pianificato in anticipo (e altrettanto prevedibile e previsto) di spazzare via il primo segretario con agenda social-democratica in oltre 25 anni. In Europa i nazionalismi alzano la testa, le posizioni di destra estrema vengono presentate (anche nel parlamento europeo) come uniche posizioni in grado di dare risposte alla “gente comune”, ai timori legati all’erosione della classe media, immigrazione, “crisi” rifugiati ecc. Vedremo come andrà a finire in Austria con il “re-match” per la presidenza.

Nonostante questo scenario di evidente avanzata a destra, sembra che il teorema che ha spinto la Lexit sia vivo e lotti insieme a noi. A me sembra ci siano due errori di fondo che portano ragionare su modelli e scenari futuri drammaticamente errati:

1) Si confonde un istituto con le politiche adottate da questo stesso istituto (l’Intera UE è confusa con le politiche di austerity, l’Euro con le politiche monetarie). Questa confusione svia l’attenzione dal problema al mezzo, rinunciando a cercare dei mezzi efficaci per colpire le meccaniche delle politiche conservatrici di protezione dell’economia tedesca (e blocco centrale) e come queste vadano a scapito dell’Europa periferica. Per intenderci, se uscendo dalla UE gli UK non si sono affatto liberati delle politiche conservatrici e liberiste (che hanno nella loro pancia da decenni), l’uscita dall’Euro sarebbe altrettanto una misura inadeguata a ri-bilanciare i rapporti di forza tra stati europei, con cui dovremmo comunque avere a che fare, fosse anche in modo conflittuale. La probabile guerra monetaria che ne seguirebbe interna all’Europa (sul modello ad esempio di quella che si e’ consumata a tratti tra dollaro, euro e Yuan a partire dalla crisi del 2008) che impatto potrebbe avere nella direzione di una maggiore distribuzione delle ricchezze? Ma soprattutto, una volta sdoganato il concetto che per avere un controllo sulle politiche monetarie e combattere le politiche di austerity sia necessario dividersi e frammentarsi, perché fermarsi a livello nazionale?

2) Per quanto l’euro sia stato un errore di sbilanciamento nella formazione della UE (moneta comunitaria prima che ci fosse una politica comunitaria), il problema è che a volte annullare una scelta politica semplicemente cancellando il suo effetto ultimo non ci riporta allo stato iniziale. Il CTRL+Z non sempre funziona. Tornare indietro in un processo, anche mal fatto, di aggregazione tra Paesi con storie e culture comunque ancora distanti, gruppi etnici che in vari Paesi continuano a mal sopportarsi e regioni che aspirano esplicitamente a rendersi indipendenti, è il passo più semplice per generare un processo di disgregazione privo di controllo. Soprattutto in fase di crisi politica-sociale-economica, il rischio è quello di innescare meccanismi come quelli che si vedono adesso in UK: aprire le gabbie della xenofobia e del nazionalismo, rompere delicati equilibri regionali (come probabilmente avverrà in Irlanda). Non è necessario evocare scenari terrificanti da seconda guerra mondiale, quando è sufficiente guardare agli anni ’90 e alla disgregazione in Jugoslavia, o ancor più di recente alla situazione in Ucraina, entrambe -con mille differenze- esacerbate da risultati referendari. Nazionalismi e regionalismi Europei non possono essere governati “da sinistra”: un passo in direzione nazionalista e da quel momento in poi la palla passa ai movimenti nazionalisti, che nella loro agenda, insieme all’eliminazione dell’Euro portano avanti anche un attacco violento alla libertà di movimento, unito ad aperta xenofobia.

Le politiche adottate a livello continentale che hanno causato precarizzazione, riduzione dei diritti e incremento delle diseguaglianze economiche e di accesso, possono essere affrontate solo a livello continentale. Se consideriamo per esempio il TTIP, in che relazioni potrebbe porsi uno Stato come l’Italia, da sola, posto di fronte al ricatto economico di sottostare ad un accordo vantaggioso principalmente per l’economia USA e soprattutto che permetta di aggirare i vincoli sociali, lavorativi e ambientali? Esercitando invece -ipoteticamente- il diritto di veto in UE, le dinamiche di potere sarebbero chiaramente rese differenti dalla scala di azione che questo intervento provocherebbe. Allo stesso modo come potrebbe un singolo Stato, fosse anche la Germania, resistere alle pressioni di capitali speculativi, banche d’affari, corporations che hanno una dimensione ed un campo di agire sovranazionale e una propria agenda ben stabilita? Abbiamo avuto esperienza in Italia nel 2011 della pressione che possono esercitare i mercati, a prescindere dalle decisioni dei gruppi conservatori europei. Solo con l’intervento massiccio della Banca Centrale Europea si è riusciti a limitare i danni. Sono consapevole che questo intervento sia stato ritardato e depotenziato dai governi conservatori del blocco centrale europeo, ma il punto è proprio questo: l’istituzione in se’ sarebbe potuta intervenire prima e meglio, per cui può essere utilizzata per portare avanti politiche di stampo radicalmente diverso.

Stesso discorso vale, ad esempio, per la crisi greca e conseguente crisi bancaria europea. In quel caso la BCE ha aperto alla possibilità di fare prestiti a tasso ridotto (1%), rivolti alle banche private. Queste hanno poi usato i fondi ottenuti a tassi agevolati per comprare Bond statali a tassi superiori (7% o più) da Grecia e Italia in modo particolare. I Bond tedeschi sono scesi sotto zero e le banche tedesche e francesi (italiane in misura minore) hanno in pratica usato i fondi europei (di tutti) per trasferire capitale dalla periferia (Grecia e Italia) soprattutto verso la il blocco centrale. Intervenendo direttamente sui Bond statali si sarebbe risparmiato in termini complessivi e si sarebbe contenuta la spesa successiva in interessi da parte degli Stati periferici. Tutto questo prescinde dall’euro: è un frutto di scelte politiche e ideologiche che si stanno scontrando a livello continentale. Se non siamo capaci di affrontare queste scelte politiche all’interno di un assetto continentale, per quanto sia difficile, possiamo anche arrenderci all’esistente. Sarebbe comunque più gestibile della alternativa ipotizzata, ovvero di alimentare le pulsioni nazionaliste in periodo di crisi.

Lexit

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