Di pizze in faccia.

Un paio di anni fa, in epoca pre-covid19, quando si poteva stare tutti insieme, mi sono trovato in una piazza gremita di sostenitori di Sanders, in New Haven, Connecticut. Una giornata allegra e soleggiata, che ho passato con una amica e compagna che non vedevo da molti anni. A fine evento, alcuni suoi amici americani ci invitano ad unirci a loro per una pizza, con la promessa rivolta a me in particolare, in quanto italiano, di poter assaggiare “la miglior pizza del Connecticut”, cosa che, a loro dire, la rendeva la miglior pizza del tri-state, quindi inclusi New York e New Jersey.

Avendo assaggiato pizze in luoghi improbabili del mondo (tipo Edimburgo o Trieste), non mi sono lasciato spaventare e ho accettato. L’amica -forse preoccupata delle mie reazioni sempre molto contenute- mi aveva avvisato che si andava incontro a qualcosa di non paragonabile alla pizza italiana, per cui le aspettative erano basse. Mi sono trovato davanti ad una crosta con condimenti improbabili. Una di quelle pizze che se le sollevi da una parte restano orizzontali sospese in aria, cotta con un formaggio filante insipido (non lo chiamo mozzarella per rispetto) e per questo corretta con parmesan cheese, una copia a basso costo made in USA del nostro parmigiano. Fuso con gli altri condimenti, quindi non aggirabile. Avrei evitato di commentare, ma gli amici insistevano, volendo da me conferma del fatto che quella loro in Connecticut fosse la pizza autentica, al contrario di quella schifezza fatta a New York. Insisti e insiti, alla fine ho dovuto rispondere che quella che loro stavano mangiando non era proprio la pizza napoletana, il metro di paragone per qualsiasi pizza. Era però simile alla pizza fatta in altri posti in Italia (che non ho specificato) e quindi magari indice del fatto che gli italiani immigrati lì provenivano, chessò, dal lombardo-veneto, invece che dalla campania. Alla fine gli ospiti americani, un po’ offesi e un po’ delusi decisero che la pizza del Connecticut era comunque la migliore del tri-state e che io non potevo risolvere la loro disputa. Oltretutto, la loro pizza era comunque meglio di quella che fanno a Chicago, disse qualcuno.

Incuriosito, mi raccontano di quella cosa che chiamano “deep dish pizza”. Se non ne avete mai sentito parlare, non cercatela online: ne va del vostro benessere mentale. Catalogata la deep dish come un insulto gratuito alla mia cultura di origine, ho provveduto a rimuoverla dalla mia memoria finché qualche tempo dopo non mi sono ritrovato a Chicago per altri motivi. Bellissima città per un turista, ma a quel punto, una volta che si è lì il dubbio mi assale: avrei avuto il coraggio di immergermi nell’orrida deep dish? E così all’ultimo minuto, quando ormai stavo per ripartire, Renzi mi ha obbligato ad ordinare la deep dish pizza nella pizzeria Draghi.

Ora aspetto che mi portino questa che probabilmente sarà un’eperienza culinaria orripilante, tanto più che ho finalmente potuto dare un’occhiata agli ingredienti tra Berlusconiani e leghisti lombardi, che mi lasciano immaginare privatizzazioni e tagli, riduzione delle protezioni sul lavoro e taglio al welfare state. Così, mentre aspetto, ripenso a quando guardavo con la curiosità di un entomologo a cui gli insetti fanno un po’ schifo, quella crosta del Connecticut coperta di pseudo-parmigiano. Non so quanto orribile sarà la deep dish, e la crosta affogata nel parmigiano del ristorante Conte bis in connecticut forse si scoprirà che è meno peggio in confronto, ma questo non vuol dire che non faccia ancora oggi schifo ai cani, con uno dei peggiori record al mondo sia per mortalità da Covid19 che per recessione economica, la disgregazione del Paese in favore di un regionalismo lombardo-emiliano, il servilismo verso confindustria e il corteggiamento di populismi di destra a livello internazionale (incluso il cojone di Trump, Dio bono).

Ci sono posti che fanno pizze decenti, e capisco che se sto morendo di fame, la crosta mi va anche bene, ma sempre crosta resta. Affogata nel parmigiano.

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