Presentate le liste: 31 giorni al voto!

REGIONALI: LAZIO; PROGRAMMA SEL, ACQUA PUBBLICA E NO TICKET
DOMENICA A ROMA MANIFESTAZIONE CON BONINO E VENDOLA (ANSA) –

ROMA, 25 FEB – Un programma in cinque punti per appoggiare Emma Bonino nella sua corsa alla presidenza della Regione Lazio, con la quale “abbiamo tanti punti di convergenza, anche nella sua battaglia per la legalita”. Cosi’ il membro del coordinamento nazionale di Sinistra Ecologia e Liberta’, Marco Furfaro, ha presentato la piattaforma programmatica del suo movimento in vista delle elezioni di marzo. Al primo posto c’e’ la legalita’, in particolar modo in relazione alle infiltrazioni della malavita organizzata nel sud della regione. Dal punto di vista dell’ecologia Sel propone un no secco al nucleare e un piano straordinario di incentivi alla green economy.
L’acqua, poi, deve essere un bene comune e va inserita nello statuto regionale come bene pubblico, no agli inceneritori e sì alla differenziata porta a porta. Il fondo per il reddito minimo sociale va poi rafforzato e va garantita piu’ sicurezza a italiani e migranti. Vanno poi assicurati i diritti civili ai singoli e alle coppie a prescindere dall’orientamento sessuale.
Riguardo alla sanita’ infine, secondo Sel, va abolito il ticket per le fasce piu’ povere, bisogna assumere i precari e ridurre le liste di attesa.
I dirigenti di Sel hanno infine annunciato che domenica al teatro Vittoria di Testaccio, ci sara’ una grande manifestazione con Emma Bonino e Nichi Vendola. (ANSA)

REGIONALI: SEL PRESENTA I CANDIDATI, CINI CAPOLISTA A ROMA
TIBALDI A VITERBO, GUIDONI A FROSINONE E TANTA SOCIETA’ CIVILE (ANSA)

ROMA, 25 FEB – Una lista ‘aperta’, con tante riconferme ma anche tanti nomi provenienti dal mondo della scienza, della cultura e della societa’ civile: e’ l’elenco dei candidati di Sinistra Ecologia e Liberta’, presentato questa mattina nella sede del partito a Roma.
Capolista a Roma e’ lo scienziato Marcello Cini, classe 1923, volto storico dell’ambientalismo italiano. A Frosinone guidera’ l’elenco l’astronauta Umberto Guidoni; a Rieti l’assessore provinciale al lavoro della provincia sabina, Luigi Taddei; a Latina l’operaio metalmeccanico e consigliere comunale di Sonnino, Gianni Carrocia. A Viterbo infine guidera’ la lista l’assessore regionale uscente al lavoro, Alessandra Tibaldi, in lista anche a Frosinone e a Roma. Tibaldi dunque non e’ passata all’Italia dei Valori come volevano alcune indiscrezioni. Nella lista di Roma insieme a lei altri volti noti della politica regionale a partire dai colleghi di giunta Luigi Nieri (assessore uscente al bilancio) e Filiberto Zaratti (ambiente), ma anche il consigliere regionale e presidente della commissione mobilita’ Enrico Luciani.
Molti nomi provenienti dalla societa’ civile: c’e’ per esempio Yevhanis Abbai, operatore di una cooperativa di non vedenti, la ricercatrice dell’Enea, Giuseppina Del Signore; il ricercatore precario del Cnr, Guido Fiore; la sindacalista Cgil, Tiziana Marafante; la sociologa della asl, Stefania Nichionni. Tanti anche i giovani tra cui spicca il capogruppo del II municipio, Luca Sappino e la studentessa di ingegneria, Emma Scipioni, ma c’e’ anche l’economista, Stefano Sylos Labini. A Frosinone e’ seconda in lista, per esempio, l’insegnante precaria Chiara Bianchi. (ANSA)

… e ovviamente mi hanno sbagliato il nome 😀

Qui l’intera lista per il Lazio:

Candidati SEL Viterbo

1.  Alessandra Tibaldi
2. Umberto Cinalli

3. Fabrizio Pieri

Candidati SEL Rieti

1.  Luigi Taddei
2. Stefania Ciccomartino

Candidati SEL Frosinone

1. Umberto Guidoni
2. Alessandra Tibaldi
3. Cesare Giacomi
4. Giorgia Montesanti
5. Alessandro Chiappelli

Candidati SEL Latina

1. Gianni Carrocia
2. Francesca Cocco
3. Federico D’Arcangeli
4. Maria Rita Manzo
5. Daniele Vecchio

Candidati SEL Roma

1. Marcello Cini
2. Yevhanis Abbai
3. Rossella Allamprese
4. Saverio Aversa
5. Maria Gemma Azuni
6. Vittoria Brandimarte
7. Mattia Ciampicacigli
8. Stefano Ciccone
9. Mario Cocco
10. Paolo Cocuroccia
11. Angelo Coppotelli
12. Adriana Cremonese
13. Alessandro Cucchi
14. Adelia Danese
15. Damiano D’Angeli
16. Guerrino De Luca
17. Giuseppina del Signore
18. Domenico Di Marco
19. Vincenzo Guido Fiore
20. Indiretto Giovanna
21. Gian Filippo Lucatello detto Filippo
22. Enrico Luciani
23. Tiziana Marafante
24. Valentina Mercuri
25. Stefano Mingarelli
26. Stefania Nichionni
27. Luigi Nieri
28. Michela Pace
29. Gaia Pallottino
30. Franca Persia
31. Marco Possanzini
32. Giovanni Russo
33. Rosalia Alexandrina Santos Mendes
34. Luca Sappino
35. Emma Scipioni
36. Silvano Solini
37. Francesco Spinazzola
38. Stefano Sylos Labini
39. Alessandra Tibaldi
40. Gianfranco Toschi
41. Filiberto Zaratti

Competizione, altruismo e sostenibilità

Anche quando non si sfocia nella disgrazia teorica del darwinismo sociale, accade spesso che i principi dell’evoluzione biologica siano utilizzati per giustificare politiche sociali di stampo liberista, individuando nella competizione il cardine di un processo che permetterebbe di selezionare i sistemi migliori (più efficienti, efficaci, meno costosi, ecc.). Non solo: i comportamenti solidali e altruisti diventano in quest’ottica delle forzature innaturali, utopie, del tutto contrarie alla vera natura di tutti gli organismi viventi, tanto che su questi comportamenti non è possibile edificare una società funzionante.

Le cose stanno ovviamente in modo molto diverso.

La teoria dell’evoluzione si basa su due principi in apparenza molto semplici:

1) dato un ambiente, gli organismi (siano essi batteri o sapiens) che vivono al suo interno trasmettono il proprio patrimonio genetico solo a patto che riescano a nutrirsi, crescere e riprodursi. – Corollario: gli organismi più efficienti nel nutrirsi e riprodursi, hanno più probabilità di propagare il proprio patrimonio genetico.

2) Nella trasmissione del patrimonio genetico, vi sono delle alterazioni che portano a varianti minori interne alla specie o assai più di rado comportano un “salto” dando vita ad una nuova specie. – Corollario: le variazioni del genotipo possono dare vita ad un organismo che dimostra una maggiore o minore fitness, ovvero attitudine alla sopravvivenza, rispetto a quella di chi lo precede temporalmente.

Sgombriamo il campo anche da un dubbio legittimo: i tratti comportamentali di un individuo sono dettati da principi evolutivi allo stesso modo dei tratti fisici?

Oggi si può dire con ragionevole certezza che, entro certi limiti, l’evoluzione gioca un ruolo  importante anche sui tratti comportamentali: il genoma infatti determina la struttura cerebrale di ogni individuo di una specie, agendo in concorso con le esperienze che caratterizzano la vita di ogni singolo individuo e una certa dose di casualità. Il risultato di questo mix a tre componenti è che vi sono alcuni comportamenti che accomunano la maggior parte degli individui di una specie.

E’ noto ad esempio che un ratto di laboratorio, posto di fronte ad un gatto, esibirà il comportamento dettato dalla paura, anche quando non abbia mai avuto esperienza prima del predatore. Perché? Perché “conviene” dal punto di vista della specie: nel corso dei millenni, quei ratti che non esibivano il comportamento di fuga -supponiamo per semplicità- di fronte ad un gatto avevano molte più probabilità di restare uccisi.

In altri termini, parafrasando Homer Simpson (st.13,ep.21), se il rarissimo bruco Screamarpillar è sessualmente attratto dal fuoco, il comportamento che ne segue incrementerà in modo sensibile le probabilità che questa specie si estingua.

Tutto il processo appena descritto viene di solito semplificato come “competizione per la vita degli organismi viventi”, spostando così erroneamente l’attenzione dalla propagazione del patrimonio genetico di una specie alla sopravvivenza del singolo individuo e ignorando di conseguenza almeno due fenomeni ormai noti: 1) l’emergere naturale di comportamenti altruistici intra-specie. 2) Nel lungo periodo, l’interazione tra specie può essere o sostenibile o instabile.

Altruismo. E’ facilmente intuibile come la propagazione del patrimonio genetico possa portare all’emergere ad esempio dell’altruismo parentale: un genitore dotato dell’istinto di accudire i propri figli ha più probabilità che il proprio corredo genetico/comportamentale si diffonda rispetto a quel genitore che al contrario non ha questo istinto. Per lo stesso motivo, molte specie (i mammiferi in testa) tendono a socializzare tra più elementi adulti la fase di cura dei piccoli, dando vita ad una strategia evolutivamente stabile per la specie, più che per il singolo individuo.

Non si tratta tuttavia della sola cura parentale: molte specie prevedono forme di assistenza reciproca tra individui adulti nella ricerca del cibo, esibendo sia comportamenti sociali di collaborazione (basti pensare alle tecniche di caccia o di difesa in branchi) che di vera e propria condivisione del cibo anche in casi in cui la fase di caccia avvenga in modo individuale (un esempio famoso riguarda alcune specie di chirotteri).

Sostenibilità. Per quanto riguarda il problema della stabilità/sostenibilità, lo si comprende considerando il processo della selezione naturale come integrato sia al suo contesto che alla dimensione temporale. Ambiente ed organismi costituiscono un unico sistema dominato da una forte interazione e che quindi viene alterato dal processo stesso di selezione: ad esempio, un predatore troppo efficiente che porti all’estinzione la propria preda si troverà a vivere in un ambiente diverso da quello iniziale, dove non è detto che le sue caratteristiche siano ancora vincenti, tanto che, considerando un intervallo di tempo abbastanza lungo, la propria efficienza sarebbe causa della propria stessa fine.

La cosa che ci interessa in questo caso dei sistemi complessi è che tendono a non permettere di sviluppare modelli predittivi: un sistema sostenibile è stabile proprio perché, i vari organismi esistenti restano in equilibrio (finché l’ambiente resta invariato); ma se questo equilibrio si spezza per il sopravvento di uno o più organismi, la sostenibilità diventa una incognita e aumenta il rischio di un collasso di sistema, ovvero di un cambio drastico della fitness richiesta e la conseguente estinzione di molte specie, fino a che non sia raggiunto un nuovo equilibrio, che a sua volta potrà essere o sostenibile o instabile.

Chi utilizza la selezione competitiva come processo di selezione sociale del “migliore”, si macchia quindi di una doppia colpa: prima di tutto cerca di bloccare artificialmente ogni forma di comportamento altruistico (minando così una delle basi della sopravvivenza dei “migliori”), in secondo luogo non tiene conto del fatto che gli attori sociali sono in grado di modificare il loro ambiente (la società) in un modo che può risultare distruttivo per tutti gli attori coinvolti. Il risultato è il fiorire di teorizzazioni a riguardo di modelli di società che anche per questo motivo si dimostrano immancabilmente fragili e destinate al collasso periodico.

Vincenzo Fiore

Vito Trianni

Tra testimonianza e rappresentanza

Qualche mese fa, durante una riunione di “ricercatori precari” nell’istituto del CNR in cui lavoro (istituto in cui i contratti a termine rappresentano oltre il 50% del totale), i presenti hanno discusso della possibilità di protestare contro il ricorso continuo che si fa al lavoro non retribuito, su base “volontaria”. In molti, infatti, lavorano gratis a lungo, per mesi, in attesa che venga bandito un concorso a cui poi poter partecipare:  un atteggiamento che si realizza anche quando il laboratorio afferente dispone dei fondi economici necessari a bandire un concorso immediato.

L’assemblea non ha trovato un accordo sul censurare in modo compatto questo comportamento, nonostante in molti tra i presenti avessero vissuto quella esperienza, perché più d’uno ha ritenuto il sistema non solo legittimo, ma in effetti favorevole per i giovani ricercatori.

Non è, ovviamente, un caso isolato: l’editoria (per usare un altro esempio di cui chi scrive ha esperienza diretta) si basa su finti stage di formazione offerti anche (o soprattutto) a persone che lavorano nel campo da anni e che quindi sono più che qualificate. Anche qui, è difficile capire perché chi lo subisce accetti e giustifichi questo comportamento, ma questo è ciò che accade.

Il motivo è che oggi in Italia la maggior parte di coloro che sono entrati da poco nei 30 anni, come chi scrive, combatte per un contratto a termine, in una logica di frammentazione selvaggia e contrattazione personale: non è la solidarietà quella che viene a mancare, ma una prospettiva. Ad un certo punto è passata l’idea che chi assume stia facendo un favore a chi viene assunto e che in fondo il non adeguarsi sia una scelta di comodo, perché si ha poca voglia di lavorare, perché non si ha la forza per sacrificarsi.

In alcune circostanze, infine, è talmente alto il livello di scoramento che un turbinio di false speranze, sensi di colpa e di inadeguatezza si mescolano assieme indirizzando verso scelte obbligate, seppur senza orizzonte.

Tutto questo insegna principalmente una cosa a chi vuole avere un’ottica politica: le buone idee e un’etica basata su alti principi sono necessarie, ma non sono sufficienti. Se non viene costruito un consenso, nel senso di consapevolezza critica, intorno a queste buone idee, le possibilità di trasformare realmente la società scendono a zero e la politica di un partito diventa una mera questione di testimonianza.

Come SEL non basta dire semplicemente che è sbagliato lavorare gratis o sottopagati, che è giusto avere un sistema idrico pubblico, che il nucleare civile è la risposta sbagliata ai problemi energetici o che i problemi di sicurezza sono ambientali e sul lavoro e non di immigrazione (tanto per fare degli esempi) e così facendo sperare di attrarre i voti di chi è d’accordo.

Noi non possiamo sposare il detto televisivo “con il pubblico non si discute” perché  il nostro problema non è la vendita di un prodotto: noi vogliamo operare la trasformazione della società attuale perché altrimenti vivremo sempre peggio e per fare questo dobbiamo passare attraverso la trasformazione culturale e materiale del paese.

Ci servono una prospettiva e un percorso ed entrambi partono dall’inversione della spirale esplosiva che ha frammentato la società, privando di potere decisionale sulle proprie vite milioni di persone.

La tensione verso la ricomposizione, l’unire le forze disperse, ci porta dalla testimonianza politica, ad una efficace rappresentanza, agire politico degno di un partito. Un lavoro lungo e faticoso, ma solido e concreto.

Un lavoro, bisogna sottolinearlo, che se si ritiene indispensabile oggi, se si pensa che debba contare su strumenti teorici e materiali nuovi, ma che debba imparare anche dal passato senza restarne schiavo, allora è anche un lavoro che si dovrà ritenere altrettanto indispensabile dopo le elezioni regionali, che non sono “l’ultimo banco di prova”!

Non usciremo in un giorno dalla crisi in cui versa il nostro paese: occorre darsi fiducia, ricordarsi che il mettersi in gioco comporta il rischio di compiere errori, è naturale, e che la critica analitica è sintomo di vita intellettuale e non di disfattismo. È necessario che chi ha più esperienza aiuti e soprattutto dia spazio di azione a chi adesso sente sulla propria pelle l’esigenza di trasformare lo stato attuale delle cose, nella consapevolezza che ogni generazione è portatrice di una ricchezza di idee, strumenti, sogni e anche errori da compiere.

Non c’è da aspettare il permesso di nessuno: questo è il momento giusto di provare a prendere il controllo sulla nostra vita, prima che ce la ipotechino definitivamente.

Buon lavoro a tutti noi.

Vincenzo Fiore

Voto utile a chi?

Pubblico qui parte di un carteggio (le mie risposte) che ho avuto con alcuni colleghi l’estate scorsa, sotto elezioni europee.


Quello del voto utile mi sembra un problema generalmente malposto: il partito che ha più probabilità di far cadere Berlusconi al momento mi pare essere la Lega nord. Di sicuro non sembra essere il PD, visto che è il principale artefice della rinascita del Berlusca: basta infatti ricordare Papi mentre dichiarava nel 2008 fa la nascita del PDL dal predellino dell’automobile, con Fini che diceva di lui “è alle comiche finali”. Poi ci si mette di mezzo Veltroni e l’accordo (ovviamente saltato) per una legge elettorale che potesse far fuori tutti (gli altri) concorrenti e improvvisamente ci ritroviamo Berlusconi al governo e io mi ritrovo extraparlamentare (ma questa è un’altra storia).
Mi piacerebbe cambiare prospettiva: il voto potrebbe per esempio essere “utile” a impostare un cambiamento di politica che ci faccia uscire dall’attuale xenofobia e dalla dominante logica neoliberista e teo-con (all’italiana). Il problema è ovviamente quale direzione intraprendere: è abbastanza semplice constatare che le poche idee in proposito espresse da molti partiti a sinistra siano decisamente confuse. Cosa si cerca di ottenere? Diritti civili, libertà individuali, libertà di espressione/di stampa, giustizia sociale, redistribuzione del reddito, crescita economica, sistemi solidaristici, accoglienza, integrazione, inglobazione culturale ecc. ecc. cose sparse e appunto, confuse e in alcuni casi anche in contraddizione tra loro.
Il processo da innescare è molto complesso e richiede la partecipazione attiva di tutti, sia a livello teorico, che pratico: non è il momento in cui si possa delegare ad altri l’iniziativa. E’ il momento di sbattersi, altrimenti non verrà fuori alcun progetto a medio o lungo termine.
Nel frattempo torniamo a quello a breve termine: bloccare il sistema attuale. Si può fare solo con il voto? Dubito fortemente, ma nel dubbio, voto: argomento debole debole, richiama un po’ i motivi per cui credere in Dio di Pascal (non costa molta fatica e potrebbe portare benefici). Meglio che niente, ma è il caso di non fermarsi lì.
Ogni voto può essere annullato facilmente con il cambio di uno schieramento: ancora una volta quello che conta, più dei rappresentanti è la rappresentanza, coloro che devono essere rappresentanti. Bisogna ricostruire il coinvolgimento o nessuno avrà il potere reale di compiere alcuna trasformazione.

V.

Sulla politica come rapporto di forze

Pubblico qui parte di un carteggio (le mie risposte) che ho avuto con alcuni colleghi l’estate scorsa, sotto elezioni europee.


Questa mail è stata scritta per risppondere a chi avevo ipotizzato la necessità di abbandonare il concetto di politica come rapporto tra forze divergenti.

Considerando che si tratta di una semplificazione -pur efficace- di un pensiero estremamente complesso che non dovrebbe lasciare da parte almeno il concetto di potere egemonico, nella mia esperienza personale mi sentirei di aggiungere a questa visione solo dei correttivi, in modo che non si venga a costruire una genealogia della politica (parafrasando Nietzsche, che fa sempre bella impressione). Il punto è che spesso a questioni regolate da grandi interessi, si aggiungono dei molto meno comprensibili e controllabili piccoli interessi personali. Più gli irrinunciabili errori umani ed una certa dose di caso. Per tornare all’esempio del punto 1: perché Veltroni ha ripescato Berlusconi dal suo predellino e lo ha riportato alla vita politica? Perché in precedenza D’Alema se lo era caricato nella bicamerale offrendo in cambio la cancellazione della legge sul conflitto di interessi? In ambo i casi è stata avvantaggiata la parte avversa apparentemente in difficoltà, senza ottenere nulla in cambio. Probabilmente ci sono anche questioni storicamente rilevanti dietro queste scelte (forze e interessi in gioco), ma bisogna anche ammettere che si tratta di persone che hanno semplicemente sbagliato i loro calcoli e non hanno conseguito il risultato da loro sperato (magari dovrebbero fare quindi un altro mestiere, ma anche questo è un altro discorso).
Correttivi a parte, quando si dice che la politica non andrebbe letta con la chiave dei rapporti di forza, sarebbe anche utile dare una alternativa. Se non grazie ai rapporti di forza, come? Al momento, per quanto mi risulta, non se ne trova una che sia altrettanto potente come forza esplicativa e predittiva: personalmente non mollerò questo paradigma finché non ne vedrò uno più efficace. Se c’è, illuminatemi.
(NB il fatto che una buona teoria possa essere male utilizzata, non è solitamente un argomento efficace per liberarsi della teoria, no?)

V.

Sul ruolo di innovazione e scienza (e degli scienziati)

Pubblico qui parte di un carteggio (le mie risposte) che ho avuto con alcuni colleghi l’estate scorsa, sotto elezioni europee.

L’innovazione non è un bene in sé: dipende da cosa si innova e come (e anche un po’ da chi lo fa e perché). Di questi tempi quelli che innovano di più in Italia sono a destra: innovando innovando, sono spariti una parte dei diritti umani.
Questo discorso è banale, ma va ricordato: nell’autunno 2008, durante il periodo di agitazione, ci si è innamorati del concetto dell’efficienza in sé, ma questa, così come l’innovazione, da sola non dice nulla. Si innova un processo e lo si rende efficiente, relativamente ad uno scopo di livello più alto, altrimenti non conviene né innovarlo, né renderlo efficiente.
Esempio concreto: il sistema di respingimenti dei migranti in mare è innovativo (innegabile) ed efficiente (non nel risolvere il presunto problema dei clandestini, ma ovviamente nel ridurre il presunto problema degli sbarchi).

La scienza, su questa stessa linea di pensiero, la vedo come uno strumento fondamentalmente neutrale: dipende da come la si usa e dagli obiettivi che ci si è dati in un momento precedente alla produzione scientifica ordinaria. La politica è invece basata su una ideologia (nel senso di un complesso costrutto etico-normativo, un sistema di valori, che sia anche chiave interpretativa del passato e obiettivo e metodo orientato verso il futuro) e quindi per sua natura non-neutrale. A chi dice che si potrebbe o addirittura si dovrebbe fare a meno dell’ideologia, chiedo ancora un esempio di politica di questo genere, passato o ipotetico futuro che sia.
La scienza da sola non può fare del bene o del male (tanto meno l’utile comune, che poi ci sarebbe da capire quale esso sia, se non viene fissato il sistema di valori ideologico: la riduzione del conflitto? il benessere fisico? il benessere intellettuale? Comune dell’umanità o di una nazione? Comune in senso ambientale, a breve termine, a lungo termine, magari con male comune a breve? ecc.), ma può essere un bene strumentale ed essere utilizzata in modo più o meno efficace -efficiente- per raggiungere o per aspirare ad un bene finale, stabilito dall’ideologia di riferimento, senza la quale il bene ed il male semplicemente non esistono. La scienza buona per una ideologia può banalmente essere malvagia se vista attraverso un sistema di valori diverso.

Gli scienziati. Se si unisce questa idea con il fatto che lo scienziato agisce in un tempo ed un luogo ben determinati, ne segue che anche se la scienza è neutrale, il lavoro dello scienziato non lo è affatto, perché storicamente collocato. Al pari di un grande artista (semplifico) che raffiguri il suo tempo o che lo descriva con una forma d’arte, il grande scienziato influenza la cultura fornendo gli strumenti che saranno poi a disposizione delle politiche dominanti o contribuendo al contrario alla messa in discussione del sistema di principi/valori (aka ideologia) su cui queste politiche si fondano.
Quindi molte responsabilità (la collaborazione deve sempre essere consapevole) e poco potere (i sistemi egemonici hanno ottimi strumenti di autodifesa).

Una situazione ideale.

V.

Nichi Vendola e l’inizio della mia svolta istituzionale

Ho “pescato” un Vendola in versione vintage: questi filmati sono stati registrati a Bologna durante la campagna elettorale per le elezioni regionali del 2005. Candidato per la presidenza della regione Puglia, Nichi si presentò a Bologna e a Siena per parlare con gli studenti pugliesi fuori sede (chi altro avrebbe fatto una cosa simile?).
Io al tempo ero a Siena, ma ricordo ancora le sensazioni che questo discorso mi suscitò.

Dovendo individuare una data in cui ho deciso che mi sarei dovuto iscrivere ad un partito, dopo anni di militanza in movimenti, collettivi e forum sociali rigorosamente non istituzionali, oggi direi che questa è quella giusta.

Buona visione.

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